L’aria era calda e umida come in una serra. La camera del rinomato Hôtel
Zentrum di Berlino era addobbata come per un morto. C’erano fiori e fiori sui tavolini e sulle poltrone, per terra e lungo
le pareti, fiori nei vasi di cristallo, fiori in lucenti anfore e dentro coppe d’argento. Accanto allo specchio una corona d’alloro.
Tutto questo ammirava l’uomo piccoletto e rotondotto disteso sul letto con le mani in grembo adagiato tra due cuscini, che indossava una
vestaglia color grigio piccione. Si spaventò di colpo quando sentì bussare nuovamente alla porta della sua camera. Rapidamente si alzò,
mise le pantofole, aprì la porta e
prese il biglietto che l’inserviente dell’albergo gli consegnò: lo lesse con apprensione ed emise un gran soffio di sollievo: era un biglietto di
riconoscenza e di auguri. Era tutta la notte e tutta la mattina che cercava di superare un conflitto interiore struggente: più precisamente è che Leoncavallo
cercava una risposta a una contraddizione che a Berlino si era manifestata e che circolava nella notte tra il 13 e il 14 dicembre di
quel 1904, quando ancora la capitale dell’impero tedesco era tutta in tripudio per lui. La sera prima, mentre si dirigeva alla Königlichen Oper venne tormentato
da una improvvisa sfiducia che non faceva parte della sua bonaria indole. Unter den Linden fece fermare il suo fiakr. Malgrado il piovigginare
andò a piedi fin davanti all’opera: si era mischiato nel buio della notte, come uno spione. Aveva alzato il bavero del mantello e abbassato
sugli occhi l’orlo del cappello. Così di nascosto si era goduto un primo assaggio di beatitudine e onore seguito però da una brutta sensazione.
Poi tornò al fiakr e messosi il frac e il cilindro si fece portare all’entrata principale dell’Opera. Che trionfo!
C’ erano i maggiori conoscitori e appassionati d’opera, c’erano i più accreditati critici d’arte, c’erano i nobili e i cortigiani
dell’imperatore, c’era insomma il fior fiore della società berlinese. Mai ci fu una prima rappresentazione operistica con una così grande
aspettativa come per il Der Roland von Berlin. I giornali della sera erano usciti tutti dando grande rilievo
all’avvenimento e non esageravano. Infatti Leoncavallo aveva fatto attendere il mondo ben dieci anni prima di terminare l’incarico ricevuto
dall’imperatore Guglielmo II nel 1894! Finalmente si poteva dare sfoggio del lusso e dello splendore arrivando davanti all’entrata dell’Opera con
i landò tirati da due cavalli con i cocchieri all’esterno su alti sedili davanti e di dietro e le carrozze dove sedevano in bella mostra le più
belle signore nelle più costose pellicce. La diffidenza che aveva provato prima, gli sembrava ora fuori luogo. Il successo sembrava
assicurato ancora prima che l’orchestra suonasse le prime note. Il suo nome aveva fatto balzare alle stelle i prezzi per una sedia in
platea.
Quando nell’atrio d’ingresso i grandi dignitari, nelle festive uniformi, si allinearono formando un lungo corridoio d’onore, entrò l’Imperatore.
Le grandame nei loro aristocratici abiti, che furono fermate all’entrata della sala, accettarono che le guardarobiere mettessero a nudo le loro
schiene, perché capirono che si esigeva il massimo decolté per essere degni del Maestro italiano e del grandioso avvenimento operistico. Del
mare di alabastro delle schiene femminili si vociferava il giorno dopo commentando sarcasticamente che era “…ancora più splendente della
struttura marmorea davanti alla porta di Brandeburgo”.
Poi di colpo il vocio del nobile pubblico in platea e nei loggioni si
zittisce e nel silenzio totale, quasi religioso, l’orchestra inizia la rappresentazione del dramma storico che si svolge nella Berlino del
1442. L’opera è un colossal con ben 19 personaggi, grandi cori e numerose comparse. L’entusiasmo del pubblico cresce atto dopo atto in un tripudio
di applausi: era un chiaro e grandioso successo.
Il giorno dopo la verità fu ben diversa. Durante la notte i critici e i giornali avevano stampato
il loro verdetto: un giudizio negativo unanime così distruttivo che poteva uccidere. Lo descrivevano come giocoliere , come prestigiatore, un
ciarlatano che agiva con vecchi valori e musiche prese in prestito da altri musicisti. Ma assieme ai giornali nel primo pomeriggio di quel triste 14 dicembre
gli venne recapitato un telegramma che egli con mani tremanti adagio adagio aprì. Ma non vi conteneva altri insulti bensì il plauso più
sincero dell’amministrazione del Grand Hôtel di Brissago che recitava:
“Consiglio amministrazione Grand Hôtel congratulasi riscossi applausi
e ben meritate onorificenze conferite al loro egregio consigliere.”
E un altro telegramma di congratulazioni gli pervenne dal Municipio di Brissago, al quale Leoncavallo subito rispose:
“Commosso saluto codesta cittadinanza pregola esprimere mia profonda riconoscenza anelando ritorno mia bella Brissago”.
Infatti partirà subito da quella Berlino che lo aveva all’inizio affascinato e corteggiato, e poi clamorosamente distrutto e umiliato.
Nel frattempo a Brissago si preparavano i festeggiamenti per accogliere in pompa magna e degnamente il ritorno del Maestro.
Il 21 dicembre del 1904, all’entrata del villaggio, venne eretto un arco di trionfo con in cima una grande lira dorata, i trofei di bandiere
svizzere ed italiane, i fiori, l’alloro e la quercia.
Vi troneggiava anche una grande iscrizione:
A
Ruggero Leoncavallo
gloria
della musica italiana
Brissago
Gli fu tutto questo di sufficiente conforto?
Sta di fatto che la notte berlinese del 1904 non fu l’unica grossa
delusione della sua vita. Delle sue numerose composizioni, opere e
operette, nessuna si avvicinò mai minimamente al successo di PAGLIACCI.